La Via Bibulca, a piedi lungo la storia

L’autunno è forse la stagione migliore per andare a passeggiare e scoprire l’incanto dei nostri luoghi.
Con il mutare del colore delle foglie prima della caduta invernale, il bosco assume un colore cangiante e girovagare per sentieri diventa un momento anche contemplativo.

Oltre ai sentieri “offroad” il nostro territorio offre inoltre antiche vie di comunicazione che oggi rappresentano dei percorsi capaci di unire il fascino della storia alla meraviglia della natura incontaminata.
Una di queste vie è l’antichissima “Via Bibulca”, larga come una mulattiera d’oggi, ma che per l’epoca era un vero stradone, che poteva essere percorsa addirittura da due buoi aggiogati.
Fu nominata già nel diploma carolingio del 781 con il nome di “Via Nova”, poi assunse altri pittoreschi nomi come “La Via dei Buoi” e “Via Imperiale”, fino a mantenere quello attuale, appunto, di Via Bibulca. L’apertura di questa via di comunicazione potrebbe risalire all’VIII secolo, a seguito della conquista longobarda dei territori appenninici della provincia di Modena.
Molti studiosi, però, fanno risalire l’origine di questa via a epoche ben più antiche, addirittura al periodo pre-romanico.

Lungo questa strada sorgevano diversi ospizi per i viandanti e i pastori che la percorrevano, nei pressi di Frassinoro, Piandelagotti e San Pellegrino in Alpe.
La Via Bibulca conobbe il suo periodo di massima importanza sul finire dell’XI secolo, a partire dalla fondazione dell’Abbazia di Frassinoro (1071), ad opera di Beatrice, madre di Matilde. La sua costruzione fu dettata anche da ragioni politiche di controllo del territorio, facilitato dalla presenza di una delle più importanti strade del medioevo.
Nel 1522 Ludovico Ariosto, recandosi ad assumere il governo della Garfagnana, sperimentò lo stato disastroso a cui era ridotta la via definendola “iniqua strada“.

Il percorso escursionistico della Via Bibulca ricalca l’originaria traccia storica che dall’ampia Valle del Secchia conduceva i viandanti a S. Pellegrino in Alpe lungo mulattiere e carreggiate che formano un unico grande sentiero, in alcuni tratti ben marcato dai residui delle vecchie pavimentazioni e, in altre parti, asfaltato.

Superato Montefiorino, la Bibulca inizia il suo tratto più panoramico che costeggia le principali sommità dello spartiacque Dolo-Dragone.
Altri suggestivi scenari sulle catene più alte, sono visibili verso est dove si ergono le dorsali di Alpesigola, Sassotignoso e, sullo sfondo, il monte Cimone in tutta la sua imponenza.



Il Borgo di Sant'Antonio di Riccovolto

Ci sono luoghi che sembrano dei veri set cinematografici. Uno di questi è senza dubbio il paese fantasma di Sant’Antonio, un piccolo manipolo di case abbandonate che si trovano vicino alla frazione di Riccovolto, nel comune di Frassinoro.
Negli ultimi anni si è visto il proliferare di canali Youtube dedicati alla ricerca e all’esplorazione di luoghi misteriosi e, in qualche modo, sinistri; fra i tanti siti d’interesse, Sant’Antonio è sicuramente uno dei più affascinanti.

Il Borgo è situato a più di 1000 metri d’altezza e fu abbandonato definitivamente nel 1990. Le famiglie di Sant’Antonio vivevano per lo più di pastorizia e di agricoltura di sussistenza. Oggi le case del piccolo borgo sono quasi tutte crollate e l’unico edificio ancora agibile è la chiesetta di Sant’Antonio nella quale, una volta all’anno e sempre nel mese di giugno, viene celebrata la messa. Questa ricorrenza attira molti abitanti dei borghi vicini che ogni anno assistono a questa celebrazione onirica e carica di significati.

Per gli amanti del trekking è una meta quasi obbligata, perché nei pressi del borgo partono dei sentieri che conducono verso Sasso Tignoso, Alpesigola e Passo Cento Croci. Una piccola e spettacolare stazione di transito, che permette anche di rifocillarsi, grazie alla deliziosa fontana potabile e al prato pianeggiante che conserva i resti di questo splendido borgo abbandonato.



Tra alberi secolari e monumentali

Girovagando per i boschi del nostro territorio è facile imbattersi in alberi straordinari, che arricchiscono il paesaggio con forme e caratteristiche uniche, come se fossero tanti monumenti naturali.

L’Emilia Romagna ha continuato a censire queste meraviglie secolari fino a stilare un vero e proprio elenco degli alberi monumentali.
A Palagano, in località Lagaccio di Boccassuolo, sorge uno di questi magnifici arbusti. Si tratta di una spettacolare esemplare di rovere (Quercus petraea).
Il rovere è un tipo di quercia dal busto eretto, robusto e slanciato, ramificato solo nella parte superiore. I rami sono molto nodosi e formano una corona densa, globosa e regolare. Nel caso della magnifica pianta di Boccassuolo, queste caratteristiche sono ancora più evidenti. 18 metri di altezza per più di 4 metri di diametro per quanto concerne la circonferenza del fusto.

Abbandonarsi all’ombra delle fronde di questi alberi incantati è una vera emozione.

 

Un albero che racconta storie

Il grande rovere del Lagaccio è talmente suggestivo che molti artisti lo hanno celebrato. È il caso del cantautore Fabio Curto che ha ambientato il videoclip “Via da Qua” proprio in questi boschi.

Ma questo rovere è stato raccontato anche nel documentario “Oak”. La Quercia di Oak è simbolo di saggezza e purezza e rappresenta sicuramente un punto d’incontro tra spirito e materia: si tratta infatti di un posto sacro, un luogo di riposo, riflessione e ritiro in sé stessi. È proprio all’interno del suo tronco che vive il protagonista maschile di questa affascinante storia.



Il Monte Calvario e i rilievi ofiolitici

La rupe del Calvario, spesso chiamata “Monte Calvario”, è una delle più suggestive emergenze naturali delle Valli del Dolo e del Dragone. Un’antica formazione ofiolitica che svetta verticalmente attraverso i boschi che sovrastano il torrente Dragone.

L’affioramento roccioso del Calvario rappresenta un elemento dalle caratteristiche singolari rispetto al contesto circostante e costituisce un importante testimonianza degli eventi geologici che hanno segnato profondamente la storia della Terra. I siti di interesse geologico o geositi, insieme alle altre componenti ambientali, formano il patrimonio naturale di un territorio e pertanto meritano di essere valorizzati e tutelati.
Nel 2014 è stato realizzato un itinerario ecologico-ambientale per far conoscere a studenti e turisti questa spettacolare area.

La rupe del Calvario presenta moltissime caratteristiche uniche, spesso nascoste. Innanzitutto quest’area è un habitat ideale per una ricchissima fauna endemica. Nel perimetro di questa asperità sono presenti diversi anfibi, come il rospo comune e il tritone alpestre, rettili come la lucertola muraiola, il ramarro e la vipera.

I segni di un passato vulcanico

La fuoriuscita della lava sul fondale oceanico, a diretto contatto dell’acqua e a profondità piuttosto elevate, porta alla formazione di caratteristiche strutture tondeggianti detti “cuscini” o “pillows“. Queste manifestazioni vulcaniche sono tipiche sia delle eruzioni attuali che del passato, come quando si solidificarono le rocce basaltiche che formano la maggior parte degli affioramenti ofiolitici presenti nella valle del Dragone.

Sulle superfici esterne dei pillows si possono frequentemente osservare piccole masserelle sferoidali di colore variabile dal biancastro al verde scuro, dette “varioliti”, legate al rapido raffreddamento, a contatto con l’acqua del mare, delle “gocce” di magma fuoriuscito dalle pareti dei pillows precedentemente solidificatesi. Anche queste manifestazioni sono una caratteristica che accomuna le lave dei fondali oceanici attuali con quelle effuse nel passato.

Strutture a pillows sono molto ben conservate e facilmente osservabili nella parte basale del complesso ofiolitico Calvario, specialmente in prossimità del letto del torrente Dragone.

Oratorio del Calvario

Risale al 1861 l’autorizzazione dell’arcivescovo di Modena a edificare, sulla rupe del Calvario, un oratorio per potervi celebrare la S. Messa e le sacre funzioni. L’edificio con buona probabilità doveva sostituire una maestà o una piccola cappella ove i fedeli della vallata si recavano abitualmente a venerare l’immagine della Beata Vergine Addolorata.

L’oratorio fu ultimato e benedetto nel 1862. L’anno successivo l’arcivescovo di Modena concedeva l’indulgenza di 40 giorni a quei fedeli che “colle dovute disposizioni reciteranno tre Ave Maria innanzi all’immagine dell’Addolorata”. Nello stesso anno veniva pure eretta canonicamente la Confraternita della B.V. Addolorata. L’edificio subì un rapido deterioramento, tanto che nel 1899 tra i parrocchiani di Lago si raccolsero offerte per una sua “ricostruzione”. I lavori iniziarono nel 1919 e furono portati a termine nel 1923. Da allora la struttura è stata sottoposta a due ulteriori interventi di restauro, un primo intervento a metà degli anni ’60 e un secondo nel 2008.

Il calvario rappresenta un piccolo gioiello da scoprire, uno scrigno di segreti per gli amanti della natura, del trekking e degli escursionisti e di tutti gli amanti della storia.